Cappuccio e Cornetto

Cappuccio e Cornetto

11/20/2012

Lavoro e Mammitudine. La mia storia.


Non ho resistito. Ho letto qui, e l’argomento mi sta troppo a cuore. Ecco le mie riflessioni.....

Lo avevo già scritto, da qualche parte che non riesco a ritrovare. Lo avevo raccontato, che per me il lavorare fa parte di quello che sono, di quello che per me è la vita. Che il lavoro è un valore. Sono figlia, nipote e bisnipote di donne lavoratrici. Si, persino la mia bisnonna: una delle prime donne italiane laureate in matematica, agli inizi del 1900. Mia mamma lavorava fino a tardi, e non avendo la patente rientravamo a casa insieme in autobus: io sfatta, mi addormentavo anche in piedi. Ma mi hanno sempre insegnato, queste donne di casa mia, che il lavoro non è solo dovere, stipendio, sudore della fronte. Mi hanno insegnato con il loro esempio che il lavoro può essere, dovrebbe essere, fonte di soddisfazioni personali, strumento di crescita e conoscenza, bagaglio culturale, stimolo a imparare e a confrontarsi. E questo ho avuto la fortuna di sperimentare, sempre in passato, e a tratti ancora oggi, nella mia vita lavorativa.
Certo, i tempi sono molto cambiati. Anche le città, le scuole, la società, il modo di far nascere e crescere i bambini. Così, quando sono diventata mamma mi sono addentrata in un mondo sconosciuto di maternità obbligatorie, facoltative, permessi per malattia, per allattamento, riduzioni di orario ecc. ecc. Ho assorbito nozioni dall’Inps come se fosse verbo divino. Ho usufruito di quello che potevo usufruire, grata per lo stipendio  pieno dei primi mesi, e grata di poter tornare in ufficio, dopo un po’.
Sono fatta così, l’ho scoperto: non riesco a non lavorare, stare a casa per me vuol dire farmi prendere da ansia, malinconia e nevrosi. Ho scoperto che amo lavorare, e che amo ottenere soddisfazioni da questo, non necessariamente economiche (purtroppo!!).
Ho scoperto anche, però, quanto è difficile. Quanto è dispendioso, in soldi e energie mentali e familiari. Quanto, nonostante sia non solo un dovere ma anche una scelta, lasciare la Gnoma sia stato difficile e doloroso. Quanto ancora oggi, che ha tre anni, l’organizzazione delle sue giornate prenda buona parte dei miei neuroni, e buonissima parte del mio stipendio.
Come avevo detto qui, il problema più grande per me è nell’orario dalle 16 in poi. La Gnoma è andata da quasi subito al nido, e siamo stati fortunati trovando un nido accogliente e affidabile, nonché convenzionato col Comune – che sono comunque sempre 450 euro al mese, ossia un ostacolo insormontabile per molte famiglie. Ma in teoria il mio orario di lavoro è fino alle 18.30. Adesso che ho la fortuna sfacciata di avere un part-time a 7 ore, esco comunque alle 17. E si apre una voragine, tra la copertura “ufficiale” delle esigenze gnomiche, e il mio tempo di ufficio e di rientro dall’ufficio. Quella voragine, per noi che siamo fortunati, è colmata da una (santa subito) Tata e ci costa un occhio della testa. Ma almeno c’è. Per molte mamme, si chiama rinuncia al lavoro.
Quindi quello che mi piacerebbe, nel mondo ideale di una società che si ricorda che fare figli è l’unico modo di continuarla e migliorarla, quella stessa società, è pensare a organizzazioni, strutture, persone, che si facciano carico di coprire davvero gli orari di lavoro di dipendenti pubblici e privati. Modulandoli magari da città a città, che Palermo è diversa da Aosta. Permettendo alle mamme di tornare a casa senza rischiare l’infarto, e ai bambini di non essere sballottati da una parte all’altra a seconda del giorno, del tempo, della congiuntura astrale. Permettendo alle donne di scegliere davvero, se tornare in ufficio o no, magari rendendo la parola part-time una realtà concreta e non un tabù. Permettendo alle donne di crescere e arrivare ai posti di comando, in modo che possano insegnare a uomini e donne che la flessibilità è una dote e una risorsa, non un inganno o una truffa. Premiando le capacità, e non la disponibilità oraria. Coltivando competenze, non in base allo stato di famiglia.
Perché si, sono una mamma. Anzi, sono una mamma e sono anche incinta, di nuovo. E il mio cervello funziona, le mie mani lavorano, i miei piedi corrono, la mia mente è lucida, anzi a dirla tutta, proprio perché ho una, anzi quasi due piccole donne da crescere, ho ancora più voglia di imparare, di fare strada, di insegnare loro tutto quello che posso. Ho ancora più voglia di lavorare. Senza rinunciare. Perché il lavoro è un dovere, una scelta, un’opportunità. Può essere un compromesso, volendo. Un sacrificio a volte. Ma non una rinuncia. 







3 commenti:

  1. quanto capisco, condivido e sento la prima parte di questo post.... adesso sono a casa ma la mia mente è sempre al lavoro... secondo me, lavoratrici si nasce!!!!

    RispondiElimina
  2. Sottoscrivo tutto, poi per chi non è nonni-munito la logistica quotidiana è davvero complicata... e cmq mi ero persa un pezzo, congrats per l'incintitudine!!!

    RispondiElimina
  3. è propri lì il punto, quel diritto alla gratificazione lavorativa dovremmo averlo tutte anche chi non può permettersi tate e asili nidi da rette stratosferiche, il licenziamento deve essere una scelta volontaria non un obbligo dettato da necessità economiche

    RispondiElimina

© 2011 - 2012 - 2013 - 2014 Cappuccio e Cornetto. Design and development by La Designerie.