Cappuccio e Cornetto

Cappuccio e Cornetto

10/17/2012

I risvegli notturni, e la comunicazione digitale

Evidentemente non sono proprio un'espertona di comunicazione on line. Ma l'altro giorno stavo navigando serenamente su Facebook, quando sulla parte delle inserzioni sponsorizzate, in bella vista, mi sono trovata un'angelica faccia di neonato dormiente, con il seguente testo:
Scopri il concorso: momentimagici.com. Il tuo bimbo ti tiene sveglia tutta la notte? Mandaci la foto dei tuoi risvegli notturni!
Ok, cercherò di non essere polemica.
Ma cara la mia Johnson's Baby, ti spiego una cosa: non c'è niente di neanche lontanamente magico nei risvegli notturni. Nelle notti passate a chiedersi quale posizione, quale latitudine, quale tono di voce, quale qualsiasi cosa possa far dormire il pupo, e te. Soprattutto se per parlamene ci metti la foto di un neonato che dorme, specie rara e di cui alcuni dubitano addirittura dell'esistenza. Te lo racconto, se vuoi: se hai un bimbo che non dorme, sei soggetto a personalità schizofrenica, bipolare. Succede così: di giorno sei una vivace, spiritosa, attiva donna-mamma, che gira, fa, vede, parla. Poi, di notte, ti trasformi. In una iena. Perché lo sanno tutti che la privazione del sonno è la tortura più efficace. E quindi tu immaginati la scena, cara la mia azienda tutta coccole e fiocchetti: di notte, ogni paio d'ore, tu devi affrontare il gelo del tuo appartamento per capire perché quell'esserino minuscolo non dorme, ti chiama, ti reclama. Sposti le coperte sacramentando in lingue conosciute e non, mentre tuo marito/compagno cerca di mimetizzarsi nel letto per il terrore di finire vittima della tua ira e del tuo sconforto. Allora tu immaginatela, questa donna pigiamata, dotata di occhiaie da record e di furia primordiale, che ha come unico obiettivo recuperare la posizione orizzontale quanto prima e in qualsiasi modo, anche con pupo attaccato al petto e con piedini conficcati nella pancia. Tu immaginala bene, nei dettagli: i capelli spettinati, il reggiseno da allattamento, la pelle d'oca, il respiro affannoso, gli occhi strizzati per vedere al buio perché non accenderebbe la luce neanche sotto minaccia di una pistola, che metti che poi il pupo si sveglia ancora di più. L'hai immaginata? Ecco, ora tu dimmi: secondo te, in quel momento, questa povera crista ha voglia di tirar fuori la macchina fotografica e fotografare sé nel momento più basso della sua femminilità, o il pupo nel pieno dell'esercizio della sua frignitudine? Magari anche con il flash così poi si fa tutti un bel pigiama party fino all'alba?
Non lo so. Io sono uscita dal tunnel-sonno da poco, e solo il pensiero mi ha quasi offesa. Ma come dicevo, evidentemente non ci capisco un granché, visto che ci sono fior fiore di foto inviate per questo simpatico concorso.
Ah, tra l'altro non è che vinci una fuga in una beauty farm solo per te per un giorno, o un mese di Tata Lucia giorno e notte. Neanche una fornitura di tappi per orecchie o di anti-occhiaie. E no, neanche una Nespresso.
Vinci una macchina fotografica, o 500 euro di buono su Lastminute. Così potrai fare foto ancora più nitide dell'insonnia familiare e del tuo conseguente crollo nervoso, prima della fuga in solitaria di uno dei componenti della famiglia - che con 500 euro un viaggio in due o in tre manco se vai da Milano a Bergamo. Per dire.
Ma evidentemente, io non ci capisco un granché.

10/15/2012

Famiglie allargate

Non so perché non ne ho mai parlato più di tanto, qui, fino ad ora. Probabilmente perché per me è talmente "normale", che non sento ci sia tanto da dire a proposito.
Poi ti capita di leggere storie come quella di Leonardo, il bimbo di Padova, e nell'angoscia dell'impotenza, nella tristezza del fallimento, nell'incredulità dell'accanimento mediatico, ti trovi a riflettere. Come madre, e anche come figlia.
Io sono un'orgogliosa figlia di famiglia allargata. Più o meno da sempre: i miei genitori si sono separati quando io avevo poco più di due anni. Non ho nessun ricordo di loro due insieme, solo qualche foto sbiadita, tipo filtro Toaster di Instagram. Non ho quindi coscienza diretta di come abbiano gestito la separazione, frutto di una coppia in crisi - la loro - e di nuovo amore, quello tra mio papà e A., amica da anni, e da allora in poi sua compagna e moglie (papà e A. stanno insieme ormai da quasi 33 anni, come dire... non è stata una botta di testa!). So che ci sono state lacrime, urla, telefonate di parenti, litigi di amici. So che c'è stato dolore e fatica. Io sono andata a vivere con mia madre, mio papà è andato a vivere con A., e con P., figlia del primo matrimonio di A., allora bimba di 10 anni. So che tenere in piedi le due situazioni è costato molto, a tutti, in vari termini. So che le famiglie si sono schierate, non sempre dalla parte più naturale. So che la natura umana ha fatto sì che frasi sbagliate venissero dette, armi improprie usate, e che a volte una bimba piccola sia stata usata come tramite inconscio per richieste, o ripicche, o accuse. So che il lavoro è durato anni, decenni direi - compreso quando io con la mia testa ho scelto di vivere per un po' con mio padre. Compreso quando ho parlato pianto discusso urlato e accusato per ore con mia madre, per andare a fondo di quel legame strano che si instaura tra una madre e una figlia - due arieti peraltro - costrette a dividere la quotidianità senza un padre, o senza un uomo, che faccia da contrappeso a tsunami emotivi senza argini. Però so una cosa, per certo. Che il mio bene non è mai stato messo in discussione. Che sono stata protetta, per quanto possibile in una situazione così dolorosa, traumatica, complessa. Che io e P. non abbiamo dovuto rinunciare alla nostra infanzia, ma solo cambiarne i codici, le chiavi di lettura. Abbiamo dovuto fare lo sforzo di allargare mente e cuore, per farci entrare qualcosa che usciva dal "normale". Questo sforzo ci ha regalato molto, negli anni successivi. Soprattutto una famiglia, vera, quella a cui pensi come riferimento nel bene e nel male quando ti costruisci la tua, di famiglia. So per certo che gli adulti si sono presi carico delle loro scelte, le hanno portate a fondo, le hanno condivise ma non le hanno schiantate sopra spalle troppo esili per sostenerle.
Ogni storia ha la sua verità. Ogni famiglia ha i suoi abissi che da fuori neanche si sospettano. Ma quel bambino trascinato per i piedi e filmato, quel bambino lì pagherà il prezzo di una quantità assurda di adulti irresponsabili e ciechi, un prezzo troppo, troppo, troppo alto. Quel bambino lì non potrà mai credere che alla fine va tutto bene. Quel bambino lì non potrà mai più essere un bambino. E questa è una violenza inaudita, a cui non riesco a non pensare.
Ringraziando anche, per una volta, i "miei" adulti, che tanti anni fa mi hanno regalato il lusso di poter vivere la mia infanzia, mentre loro vivevano la loro vita, più o meno facile, più o meno dolorosa. Li ringrazio, perché ora so che fare il genitore non è un mestiere, non è una vocazione: è una scelta. Quotidiana.

10/09/2012

Autunno


Insomma è un periodo così.
Un periodo di trasferte lavorative di C., che in cambio hanno portato i miei (= mio papà e A., la moglie) per una settimana a casa con me e la Gnoma. Che vuol dire pasti sani pronti e caldi, spesa fatta, relax e coccole di vario genere - molto piacevole direi.
Un periodo di attesa e preparazione, di dita incrociate e novità dette a mezza bocca, che ci vuole ancora un po' per dirle a bocca intera. Un periodo di stanchezza, di pensieri, di riflessioni.
Un periodo difficile sul lavoro. In cui stento a riconoscere me e chi mi sta accanto, in cui mi sfuggono i meccanismi forse semplicemente perché non mi piacciono.
Un periodo in cui l'autunno che incombe fa sentire in qualche parte di me delle angosce e delle ansie che mi ricordano i primi giorni a casa con la Gnoma, dopo la sua nascita. Con l'ormone in subbuglio, la lacrima sempre pronta, la paura di non sapere più chi ero e chi sarei diventata, il terrore di sbagliare, la testa piena di pensieri e teorie, il cuore pieno di amore e paure, e in mezzo bloccata nel non sapere cosa fare.
A volte mi chiedo se quei buchi neri siano ereditari, in qualche modo. Mia nonna è stata depressa, depressa davvero, per anni. Non mi ero mai posta troppe domande, finché non ho vissuto quelle settimane difficili, di baby-blues o come volete chiamarlo. Sicuramente ha inciso avere lontana la mia famiglia, e il tempo, e le giornate in cui improvvisamente alle 5 del pomeriggio il sole spariva, e una Gnoma affamata e insonne, e lo stare a casa, dopo anni di lavoro incessante. Ma in qualche modo ho capito. Ho sentito la capacità di quei buchi neri di allargarsi e inghiottire tutto, se sei sola, se non stai attenta, se non hai chi ti guarda con amore e apprensione. E ho avuto un po' paura, perché la verità è che non puoi abbassare la guardia, mai. Che non devi abbassarla neanche guardando chi ami, per vederli davvero, e in caso aiutarli. Che nessuno, nessuno è al riparo da quegli agguati della mente e del cuore. E che l'unica salvezza è la cura, quella cura che è attenzione, amore, premura, accoglienza e coraggio di vedere quello che succede.
Perché l'autunno, a volte, arriva quando meno te lo aspetti.


10/05/2012

Come una felicità

Bene, sono uscita dal tunnel casalingo, e questa è una buona notizia.
Soprattutto perché sembra rientrato il motivo della reclusione, di cui vi parlerò più avanti, e questa è un'ottima notizia.

E così sono tornata in ufficio, per fortuna il giorno dopo il demenziale sciopero che ha flagellato Milano e chi come me usa la metropolitana. Che va bene tutto eh, per carità, il destino a volte è bizzoso, ma santa polenta se qui tra 3 anni facciamo davvero l'Expo a noi ci arrestano tutti per non aver denunciato la banda di superficialoni che gestisce la rete metropolitana di questa città. Per me, da romana, è già un miracolo che ci siano dei mezzi affidabili all'80%, ma per mia madre olandese, o per le mie zie e cugine newyorkesi, noi viviamo ai confini della realtà.

Va beh detto questo sono tornata a lavoro, in un clima surreale da pre-ennesimo cambiamento causa ennesima fuga di ennesimo manager che non riesce ad inserirsi in un'azienda internazionale ma provinciale, quotata ma familiare, in espansione ma conservatrice. E quindi diciamo che comoda proprio non sto.

Ma... domani arrivano mio papà e A., sua moglie e roccia della famiglia, a darmi man forte causa trasferta di C. e a spupazzarsi la Gnoma.
Ma... la Gnoma si è inserita a scuola con una sorprendente agilità, al momento, nonostante non abbia ancora 3 anni, nonostante le maestre siano empatiche ma solo fino ad un certo punto, temo, e nonostante le abissali differenze con l'asilo nido.

Ma, soprattutto, la Gnoma ieri mi ha guardata con i suoi occhi azzurri che sono un mondo meraviglioso, e mi ha detto:
"Mamma, tu sei bella come.. come... come una felicità!".


Voi capite che dopo questa, il lavoro, l'autunno e il raffreddore che ha preso residenza fissa nelle mie vie respiratorie alte e basse sono infimi dettagli che non scalfiranno la mia bolla di folle e impudente emotività mammesca.


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