Cappuccio e Cornetto

Cappuccio e Cornetto

11/28/2012

Di scuole e di scioperi


Sono cresciuta frequentando, dalla quinta elementare in poi, scuole pubbliche.
Ho ricevuto una formazione rigorosa, impeccabile, a livello scolastico, culturale, intellettuale, sociale. Credo sia un privilegio poter offrire ai bambini e ai ragazzi un’istruzione gratuita, laica, aperta, accessibile, meritocratica, rigorosa. Una scuola di vita, oltre che di nozioni. Considero un onore e un vanto vivere in un Paese in cui la scuola viene concepita così: per tutti, di valore, di contenuto. Un Paese in cui non devi fare fondi in banca per far studiare i tuoi figli, o iscriverli ad un nido adatto prima ancora di concepirli se no rimangono fuori dal giro delle “scuole buone”. Ecco, però, il nocciolo del problema: che in Italia la concezione della scuola è perfetta. La realtà, tutta un’altra storia.
Il nido della Gnoma era un nido aziendale, convenzionato con il Comune. Al di là della retta folle, essendo comunale, 450 euro al mese, che vuol dire obbligare moltissime donne a rinunciare al lavoro, questo nido era un posto splendido. Accogliente, spazi curatissimi, progetti educativi aggiornati, maestre formate, confronti continui, iniziative a non finire, musica, inglese, teatro, e così via. Flessibilità negli orari, menù biologici, attenzione, cura. Turni di apertura persino ad inizio e fine agosto, per venire incontro alle esigenze dei genitori che lavorano. Insomma ci eravamo abituati benissimo.
Poi siamo passati alla materna. O scuola dell’infanzia, che dir si voglia. Scelta per principio, per voglia, per comodità, perché ci crediamo e perché spendere migliaia di euro per la materna non rientra nelle nostre idee, né nelle nostre possibilità. Scuola grande, sette sezioni, con un bellissimo parco e spazi ampi. Maestre disponibili, classi pulite, bambini seguiti. Bene, siamo contenti, l’inserimento fila via liscissimo, la Gnoma ha già i suoi amici, impara canzoni nuovi e sperimenta regole, lavoretti, giochi e nuovi ritmi. Benissimo.
Peccato però che all’improvviso si apra il balletto degli scioperi. Siamo a fine novembre, e la nostra classe ne ha già fatti tre. Il che vuol dire comunicazione il pomeriggio per il giorno dopo: la classe è chiusa. E tu ti barcameni tra nonni, baby sitter, ferie che non hai. E scleri. Scleri perché te lo dicono solo una manciata di ore prima, scleri perché è quasi sempre di venerdì, perché spesso le maestre aderiscono solo perché hanno aderito le maestre dei loro figli e non hanno nessuno che glieli tiene. Scleri perché ne hanno il diritto, mentre tu non hai il diritto ad un servizio affidabile, ad una programmazione, a mantenere un minimo di coerenza in ufficio. Scleri perché sciopera sempre e solo la classe della Gnoma, una su sette. Scleri perché vieni a sapere che oltre allo sciopero di venerdì prossimo, ce n’è uno in programma per il 10 dicembre. Il lunedì dopo il ponte.
Io capisco e mi preoccupo per la situazione della scuola. Davvero. Sono coinvolta anche io visto che vorrei che la Gnoma ne usufruisse per i prossimi 15 anni. Ma così non è giusto. Questi scioperi danneggiano solo i genitori, cioè altri lavoratori, soprattutto se dipendenti privati. Pensate voi cosa gliene può fregare al Ministro Profumo di qualche classe chiusa. Ma posso assicurarvi che al mio capo gliene frega parecchio, se io mi prendo di ferie un lunedì dopo un ponte. E vi assicuro anche che non penserà a uno sciopero della scuola, ma ad un banale, punibile, riprovevole, imbarazzante prolungamento di vacanza. E c’è un bel da lottare per dimostrare che come lavoratrice mamma posso fare quanto e più di prima, che possono contare su di me, ecc. ecc., quando sei costretta a sparire, con un preavviso di tre ore e sempre a ridosso del weekend, per 4 volte in 2 mesi, cioè una settimana si e una no.
Care Maestre, voi che siete così creative: inventatevi altri modi di protestare, che arrivino a chi di dovere, non a chi di diritto.
Caro Ministro, faccia il suo lavoro, e dia la possibilità a questo Paese di tornare a vantarsi dell’eccellenza della sua cultura, che inizia in una classe di treenni, e finisce con adulti civili, responsabili, preparati, colti.
Caro Paese, fammi passare di mente l’idea che tu stia implodendo.


11/22/2012

La mia prima seconda volta

Te lo dicono da subito. Da quando sei incinta per la prima volta, e non hai ancora la più pallida idea di quello a cui stai andando incontro, che la seconda sarà diversa. Ed è vero eh.
Solo che come sempre, quando le cose te le dicono e basta si parcheggiano in un’area del cervello remota e polverosa in cui non ami transitare. Poi le cose succedono, e la musica cambia. Vieni travolta e stupita dalle novità, dalle differenze, dalle scoperte, e ancora, di nuovo, come se niente fosse, dai dubbi, dalle incertezze, dalle paranoie.
Che se come per me, la tua prima gravidanza è stata uno slalom tra i punti interrogativi nonostante sia stata una gravidanza da manuale, fidati: con la seconda sarà lo stesso.
Forse perché stavolta ho avuto delle perdite, all’ottava settimana circa, che mi hanno spaventata e riempita di dubbi e incertezze. Che mi hanno fatto toccare con mano la paura, l’ansia, il non sapere cosa fare.
Adesso sono alla quindicesima settimana. Ed esattamente come con la Gnoma, mi struggo nell’attesa di sentirla muovere. Di avere qualche riscontro, qualche certezza a cui aggrapparmi. Come con la Gnoma, questa fase che dovrebbe essere la più serena e la più semplice, è quella che a me piace meno. Perché questa pancia abitata e silenziosa è un mistero che prescinde da me, dai miei pensieri, dalla mia volontà. Perché preferisco essere presa a calci e pugni interni, e sapere che lei è lì che si muove, nuota, fa le sue cosine. Perché tutti mi chiedono come va, e se cresce, e se qui e se lì, e io, semplicemente, non lo so, non ne ho idea.
Perché oggi mi sento un po’ acciaccata, con influenza in arrivo e dolorini sparsi poco promettenti, e allora vorrei dire all’abitante della zona ombelicale di stare serena, godersi il suo spazio, esplorarlo senza remore, che a me i suoi movimenti piaceranno sempre e comunque anche quando mi terranno sveglia di notte. Vorrei dirle che io, noi, la aspettiamo a cuore e braccia aperte, anche se sembriamo sempre presi da mille altre cose. Vorrei farle sapere che avrà una sorella meravigliosa, che probabilmente le tirerà delle sonore sberle ma che la farà divertire e crescere come nessuno mai. Vorrei spiegarle che quelle mani che sente ogni tanto passare sul suo tetto si chiamano coccole, amore, impazienza. Si chiamano ti aspettiamo, tieni duro, si chiamano amore che si moltiplica per mille invece che per due, e vogliono solo dirti che qui ci si sta lentamente, inesorabilmente, appassionatamente preparando a te, che ancora non hai un nome, ma che abiti già in molti cuori.



11/20/2012

Lavoro e Mammitudine. La mia storia.


Non ho resistito. Ho letto qui, e l’argomento mi sta troppo a cuore. Ecco le mie riflessioni.....

Lo avevo già scritto, da qualche parte che non riesco a ritrovare. Lo avevo raccontato, che per me il lavorare fa parte di quello che sono, di quello che per me è la vita. Che il lavoro è un valore. Sono figlia, nipote e bisnipote di donne lavoratrici. Si, persino la mia bisnonna: una delle prime donne italiane laureate in matematica, agli inizi del 1900. Mia mamma lavorava fino a tardi, e non avendo la patente rientravamo a casa insieme in autobus: io sfatta, mi addormentavo anche in piedi. Ma mi hanno sempre insegnato, queste donne di casa mia, che il lavoro non è solo dovere, stipendio, sudore della fronte. Mi hanno insegnato con il loro esempio che il lavoro può essere, dovrebbe essere, fonte di soddisfazioni personali, strumento di crescita e conoscenza, bagaglio culturale, stimolo a imparare e a confrontarsi. E questo ho avuto la fortuna di sperimentare, sempre in passato, e a tratti ancora oggi, nella mia vita lavorativa.
Certo, i tempi sono molto cambiati. Anche le città, le scuole, la società, il modo di far nascere e crescere i bambini. Così, quando sono diventata mamma mi sono addentrata in un mondo sconosciuto di maternità obbligatorie, facoltative, permessi per malattia, per allattamento, riduzioni di orario ecc. ecc. Ho assorbito nozioni dall’Inps come se fosse verbo divino. Ho usufruito di quello che potevo usufruire, grata per lo stipendio  pieno dei primi mesi, e grata di poter tornare in ufficio, dopo un po’.
Sono fatta così, l’ho scoperto: non riesco a non lavorare, stare a casa per me vuol dire farmi prendere da ansia, malinconia e nevrosi. Ho scoperto che amo lavorare, e che amo ottenere soddisfazioni da questo, non necessariamente economiche (purtroppo!!).
Ho scoperto anche, però, quanto è difficile. Quanto è dispendioso, in soldi e energie mentali e familiari. Quanto, nonostante sia non solo un dovere ma anche una scelta, lasciare la Gnoma sia stato difficile e doloroso. Quanto ancora oggi, che ha tre anni, l’organizzazione delle sue giornate prenda buona parte dei miei neuroni, e buonissima parte del mio stipendio.
Come avevo detto qui, il problema più grande per me è nell’orario dalle 16 in poi. La Gnoma è andata da quasi subito al nido, e siamo stati fortunati trovando un nido accogliente e affidabile, nonché convenzionato col Comune – che sono comunque sempre 450 euro al mese, ossia un ostacolo insormontabile per molte famiglie. Ma in teoria il mio orario di lavoro è fino alle 18.30. Adesso che ho la fortuna sfacciata di avere un part-time a 7 ore, esco comunque alle 17. E si apre una voragine, tra la copertura “ufficiale” delle esigenze gnomiche, e il mio tempo di ufficio e di rientro dall’ufficio. Quella voragine, per noi che siamo fortunati, è colmata da una (santa subito) Tata e ci costa un occhio della testa. Ma almeno c’è. Per molte mamme, si chiama rinuncia al lavoro.
Quindi quello che mi piacerebbe, nel mondo ideale di una società che si ricorda che fare figli è l’unico modo di continuarla e migliorarla, quella stessa società, è pensare a organizzazioni, strutture, persone, che si facciano carico di coprire davvero gli orari di lavoro di dipendenti pubblici e privati. Modulandoli magari da città a città, che Palermo è diversa da Aosta. Permettendo alle mamme di tornare a casa senza rischiare l’infarto, e ai bambini di non essere sballottati da una parte all’altra a seconda del giorno, del tempo, della congiuntura astrale. Permettendo alle donne di scegliere davvero, se tornare in ufficio o no, magari rendendo la parola part-time una realtà concreta e non un tabù. Permettendo alle donne di crescere e arrivare ai posti di comando, in modo che possano insegnare a uomini e donne che la flessibilità è una dote e una risorsa, non un inganno o una truffa. Premiando le capacità, e non la disponibilità oraria. Coltivando competenze, non in base allo stato di famiglia.
Perché si, sono una mamma. Anzi, sono una mamma e sono anche incinta, di nuovo. E il mio cervello funziona, le mie mani lavorano, i miei piedi corrono, la mia mente è lucida, anzi a dirla tutta, proprio perché ho una, anzi quasi due piccole donne da crescere, ho ancora più voglia di imparare, di fare strada, di insegnare loro tutto quello che posso. Ho ancora più voglia di lavorare. Senza rinunciare. Perché il lavoro è un dovere, una scelta, un’opportunità. Può essere un compromesso, volendo. Un sacrificio a volte. Ma non una rinuncia. 







11/19/2012

Vi confesso un segreto


Il mondo delle mamme è un mondo variegato, colorato, complesso, diverso ma in alcuni punti molto simili. Le mamme si riconoscono tra loro, spesso, per dettagli inconfondibili, tipo occhiaie, segni di pennarello sulle mani, pezzi di didò sul maglione, ciucci che escono dalle borse o cerotti di hello kitty sulle dita. Si associano e si coalizzano nei momenti difficili – soprattutto durante il primo anno di vita del pupo, che in quell'anno si affrontano indicibili salite psico-fisico-emotive, spesso trainate solo da mero istinto di sopravvivenza. All'interno del mondo mammico, scorrono varie macro-correnti.
Prendete il sonno, per esempio. Dato per assodato il fatto che di base serve una gran botta di.. ehm, fortuna, perché se tuo figlio dorme dal primo giorno 20 ore a notte anche nel mezzo di una rumba, diciamo che non dipende tanto da te quanto dal destino che ti ha voluto bene, per il restante ben nutrito numero di mamme il sonno è, a tratti o sempre, un problema spinoso. E qui ci si divide: tra chi pur di dormire cede, e via di pigiama party nel lettone senza remore, e chi invece tiene il punto e resiste a urla, strepiti, pianti inconsolabili ecc.
Ecco, io no. Sin dal primo giorno di vita Gnomica, ho avuto una bassa, bassissima, pressoché nulla tolleranza al suo pianto. Sto migliorando, questo va detto – anche perché i pianti da capriccio non sono catalogabili nei pianti veri e propri, diciamocelo. Ma tant'è – io sono della squadra “fatemi dormire”. Che lei soprattutto il primo anno e mezzo, ma spesso ancora oggi, si sveglia n volte a notte, e la tua resistenza viene minata alla base da un unico obiettivo: rimetterti sotto le coperte. Per questo, noi si è andati in scioltezza di lettone, dove lei miracolosamente si addormenta e ci permette di recuperare forze, energie e lucidità mentale. Che niente non è.
E così è successo che per cercare di dormire un po’, ho scoperto che niente al mondo mi rilassa di più, della Gnoma che dorme spalmata accanto a me. Il suo respiro profondo, il suo profumo di mandarino, bagnoschiuma e sudorino, le sue mani rilassate, il suo calore. Vi giuro che lei si addormenta sempre nel suo letto, e che non la uso come sonnifero. Accompagno con esultanza ed entusiasmo ogni suo passaggio e crescita verso il sonno nel suo letto, cosa che ormai accade sempre più di frequente soprattutto da quando dorme nel letto da grande. Però vi confesso che ogni tanto, di notte, quando mi chiama, spero che mi chieda di venire nel lettone, per poter godere ancora un po’ di quel calore di bimba piccola che durerà ancora poco, e di cui voglio fare scorta il più possibile per non perdere mai il ricordo di quella fiducia completa, di quel bisogno di vicinanza, di quell'intimità pulita e semplice, del sorriso meraviglioso di quando lei si sveglia e si ritrova tra mamma e papà, protetta e amata, al sicuro.
E si lo so da sola, che il lettone non è per tre ma per due, che deve imparare a dormire da sola, che qui e che lì. Ma sta già succedendo, e io sto facendo il possibile perché accada. Sto solo confessando, qui, l’indicibile segreto: che dormire tutti insieme, nel lettone, mi piace tantissimissimo. Ecco. E se Babbo Natale mi porterà meno regali, per questo, me ne farò una ragione.

11/16/2012

Venerdì

Sono giornate strane eh.
Un po' il tempo, che è indeciso se buttarsi sull'invernale o rimanere ancora al di qua, più in versione autunno. Tipo oggi che c'è un cielo di un azzurro che pizzica gli occhi, e un freddo becco che pizzica tutto il resto.
Un po' la notte, che si è fatta agitata, costellata di varie tappe al bagno (ma di già????? argh!!), e che se mi sveglio poi il cervello parte a duemila e non mi si ferma più. E si sa che di notte i pensieri non sono mai rose e fiori, anzi: se possono minare le tue poche certezze lo faranno di sicuro.
Un po' le emozioni, che comunque vederla, la pancia, oliarmela tutta ogni sera, aiuta ad entrare in quella montagna russa di paure, incertezze, curiosità, speranza, gioia e paranoia che ho già vissuto con la Gnoma e che si trasforma solo alla fine delle quarantasettimane. E che non è per niente vero che col secondo va meglio. Ché già adesso, come allora, non vedo l'ora di sentirla muovere per tirare un po' il fiato.
Un po' i programmi, che mi ritrovo praticamente ogni weekend impegnato da qui a gennaio 2013 e mi viene un po' d'ansia. Programmi piacevoli, per carità, visite di genitori, parenti, amici, gite fuori porta. Tutto bello. Ma anche una serena due giorni a casa, senza impegni, in tuta, anche quasi noiosa, non sarebbe male... Vabeh, ci rifaremo.
Insomma sono giornate strane, in cui sto molto bene ma sono anche molto irrequieta. In cui ho degli sbalzi di umore che, povero C. santo subito, spaventano anche me. Passo da iena ad angioletto in una frazione di secondo, e viceversa. E va bene, saranno gli ormoni ma il risultato è lo stesso: sono "sgodevole", come si dice a Bologna, e me ne accorgo quindi mi innervosisco ancora di più e mi sgodevolizzo ancora di più. Della serie aiutati che il Ciel t'aiuta.
Comunque oggi  è venerdì, ci sono i miei a casa pronti a cucinare come in un tre stelle Michelin nel weekend, oltre a spupazzarsi la Gnoma per l'ennesimo festeggiamento treannesco, e quindi nonostante la coabitazione forzata che non è sempre facilissima mi sforzerò di godermi ogni nanosecondo di questi giorni, prima che inizi un'altra lunga, lunghissima, settimana lavorativa.
Che quel capitolo non lo apro neanche oggi, che non è aria.
Buon weekend!

11/12/2012

Tre anni

Buon compleanno, Amore mio.

Buon compleanno a te che ti svegli con un sorriso, a te che vuoi vedere i cartoni e che vuoi fare la piscina con le costruzioni. A te che dici "con senza", invece di senza, a te che ami le principesse ma poi vuoi "tanti auguri" con una pernacchia alla fine. A te che quando finisci di cenare ti alzi e ci paghi il conto, e che vuoi una, no due, no quattlo calamelle. A te che non vorresti dormire ma poi crolli in due secondi. A te che riesci a farci ridere, arrabbiare, emozionare come nessuno. A te che sei entrata nella nostra vita con due occhi spalancati e attenti, bellissimi e irresistibili. Buon compleanno a te che mi insegni ogni giorno ad andare oltre, sempre: oltre la stanchezza, oltre i confini del mio cuore, oltre ogni impeto di amore, oltre i miei punti di vista, oltre le mie idee su cosa fare e cosa no, oltre i miei limiti e oltre le mie forze. A te che mi insegni la magia di Cenerentola, il fascino di un peluche-marionetta, il potere di una coccola e l'entusiasmo delle scoperte.
Buon compleanno a te, Amore mio, che sei e sempre sarai, comunque e dovunque, l'avventura più bella, più creativa, più luminosa, più entusiasmante, più intensa, più stimolante, più sfidante, più emozionante. A te, che sei nata da un Amore grandissimo e forte, e che questo Amore ci riporti, ogni giorno, più forte e più puro.
Buon compleanno a te, Amore mio, che sei nostra figlia, e in questa parola c'è già tutto il nostro mondo. Quello che abbiamo sognato e quello che cerchiamo di costruire, con te e per te, ogni giorno.

Chiunque tu diventerai, il mio amore sarà sempre con te.

E non ti preoccupare, la tua sorellina nella pancia aumenterà tutto questo: l'Amore porta Amore, non sottrae. Mai. A nessuno. Te lo prometto.


Questo scrivevo a te, quando eri nella mia pancia da 14 settimane. Ed è vero oggi come allora e come domani, ancora di più anzi visto che vale doppio, per la pancia, oggi come allora, di 14 settimane:

5 maggio 2009

Vorrei imparare ad amarti di un amore consapevole, che ti lasci libera di essere quella che sei. Vorrei insegnarti ad amare te stessa, a non farti del male da sola, ad amare gli altri, a non aver paura del mondo senza per questo gettarti incoscientemente nei pericoli, vorrei che diventassi una donna forte e fragile, allegra e intelligente, generosa e sincera. Vorrei che diventassi abbastanza sicura di te per poter essere quella che sarai e che sei già senza bisogno di ricorrere ad estremismi per esprimerti. Vorrei poter essere per te un porto, da cui partire e a cui tornare, senza sentirti obbligata a rimanere lì a vita. Vorrei poter essere per te un esempio, almeno in qualcosa, vorrei che tu possa essere fiera di venire da me, da noi. Vorrei regalarti tutta la complessità delle nostre famiglie, senza ombre di dolori o recriminazioni. Vorrei che potessi sperimentare l’incredibile libertà di decidere di importi da sola delle regole, vorrei poterti dare la possibilità di essere complessa e leggera nello stesso momento. Vorrei diventar capace di lasciarti essere ciò che sceglierai, senza fingere ma senza giudicare, standoti accanto sempre.









11/09/2012

Tredicesima Settimana


Bene, ora che ho fatto outing sia qui che in ufficio, posso finalmente perdermi e sdilinquirmi in dettagli che parranno noiosissimi a chiunque non ha affrontato le quarantasettimane aka gravidanza aka stato interessante aka la via per trasformarsi da donna a balenottera spiaggiata in attesa.
L’inizio è stato difficile: delle perdite ci hanno fatto spaventare, molto , mi hanno costretta a casa per un paio di settimane e a procedere con dei piedi di piombo che tra un po’ manco ci credevo più neanche io. Però è passata, per fortuna e per miracolo, e piano piano i giorni sono passati. Abbiamo fatto, come per la Gnoma, la villocentesi, e arrivati i primi risultati e passati i primi tre mesi, vero giro di boa nella vita di una panzona, ho cominciato a rilassarmi (ma solo un pochino perché i miei ormoni sono gestiti da Ansia e Paranoia, terribile duo di cui magari parlerò un’altra volta).
A differenza dei primi tre mesi di Gnoma In the Panz, stavolta sono stata accompagnata da una simpatica sinfonia di nausee soprattutto serali, che stanno lentamente sbaraccando, si spera. Proprio come con la Gnoma, invece, la mia autonomia di donna-mamma-moglie-essere umano senziente termina al massimo verso le 21.30, ora in cui stramazzo a letto in uno stato comatoso molto poco romantico. Meno male che la Gnoma si addormenta prima – posso ancora mantenere uno straccio di dignità genitoriale!
Ed esattamente come con la Gnoma, sono curiosa, impaziente, emozionata, impaurita, protettiva, orgogliosa. Un mix incontrollabile di ondate emotive e razionali che per fortuna avendo la Gnoma già con noi vengono arginate da una vita quotidiana abbastanza piena da non lasciar troppi spazi a voli pindarici verso l’alto o verso il basso.
Ora sono qui, presa da duemila attività di vario genere, lavorative familiari logistiche, nell’immediato soprattutto dall’organizzazione del compleanno gnomico, che tre anni, signore e signori, sono una gran bella età e meritano una gran bella torta.
Ma mi capita di ritrovarmi, con lo sguardo perso a mo’ di triglia, e un sorriso fisso sulla faccia, pensando a quando io e C. in cucina abbiamo detto alla Gnoma che arriverà una sorellina: la sua emozione, i suoi sorrisi, i suoi propositi di prestarle le sue cose da “piccola”. Uno dei momenti più belli e preziosi della mia vita, della nostra vita. Uno di quei momenti che non puoi neanche raccontare troppo, ma che devi conservare con cura e rispolverare almeno un paio di volte al giorno perché sono proprio quei momenti che danno senso a tutto. A tutto davvero.

11/06/2012

Ed ecco la news. The Big News!

Ho aspettato. Per scaramanzia, per paura, per qualche intoppo iniziale.
Ho aspettato perché le cose belle, quelle belle davvero, quando arrivano spaventano, soprattutto quando sono fuori dal tuo controllo.
Ho aspettato perché ho sempre il timore che a raccontare, ad espormi, poi potrebbe succedere qualcosa di brutto.
Ho aspettato perché l'altra volta avevo taciuto, fino alla fine.

Ma la verità è che questo spazio e chi ci passa vuol dire molto, per me.
La verità è che condividere è bello, aiuta, fa bene, alleggerisce e insegna.
La verità è che le cose così belle possono far nascere speranze, e non solo o non sempre invidie o brutti pensieri.
La verità è che ci sono cose così importanti che a tenerle tutte dentro è un po' tanto, quasi troppo.
La verità è che stavolta quest'avventura la voglio vivere anche qui.

Insomma, la verità è che sì, saremo in 4. La verità è che sì, la mia pancia è abitata, e per la cronaca noi siamo per le quote rosa, ed è femmina. Il fatto che dovrò sorbirmi l'adolescenza di due femmine è un problema che al momento preferisco non affrontare!

Ecco, ora l'ho detto!

11/05/2012

Tempi e attese

Non me ne sono neanche accorta. Mi sembra di aver scritto ieri l'ultimo post e sono passate quasi tre settimane. Me tapina.
Vorrei poter dire che nel frattempo ho fatto qualcosa di fondamentale e importantissimo, ma in realtà no, ho solo sgomitato per arrivare a sera in condizioni dignitose. Ho lavorato, giocato, dormito, mangiato, pensato. E' arrivato il letto grande della Gnoma, che lei sembra così piccola e tenera lì dentro. Ho cominciato a pensare ai festeggiamenti per i tre anni - no dico, tre anni... - gnomici, ho letto, ho affrontato dubbi, paure e qualche incubo. Insomma ho fatto quelle seicentomilamilioni di cose che sembrano niente ma invece ti prendono energie e ti distraggono dai giorni che passano.
Per fortuna è arrivato questo ponte, che mi ha permesso di staccare un po' la spina. Ho ricaricato le pile, mi sono guardata allo specchio e mi sono riconosciuta un po' di più, ho fatto persino il cambio dell'armadio e della scarpiera che se aspettavo un altro po' non c'era più neanche bisogno di farlo.
Ho guardato Cenerentola quelle due/trecento volte, e ho cucinato con voglia: pizza fatta in casa, o un arrosto strepitoso per esempio.
E di base, mi sono messa in attesa. Perché per certe cose bisogna aspettare e pazientare. Avere fiducia e stare sereni. Respirare e non rimuginare. Quindi ecco, anche questo post è un post di attesa. Ancora fino a domani, diciamo.
Io sono impaziente, a dir poco. Vediamo se riesco a incuriosire qualcuno!


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